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<title>Sull'innovazione</title>
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Pubblicato il 28 Marzo 2006, in occasione del Convegno "L'Innovazione necessaria:
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creatività, cooperazione, condivisione" del 28 Marzo 2006 a Roma
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<H1>Sull'innovazione</H1>
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<P>Da sempre, l'innovazione e l'avanzamento della conoscenza sono il frutto della
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libera cooperazione tra persone, del libero scambio di idee. Non è un caso infatti
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che l'umanità si sia dotata di biblioteche e università. In questi luoghi la
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conoscenza e il sapere si espandono, non per generazione spontanea, ma per la
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disponibilità di cultura facilmente accessibile e per il libero scambio di idee tra
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persone.</P>
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<H2>Internet abilita le conversazioni globali</H2>
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<P>Le persone parlano tra di loro: è ovvio che lo facciano, è una caratteristica
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della specie umana. La comunicazione tra persone è il fondamento della società.
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Nella moderna società digitale la rete Internet allarga le conversazioni tra
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persone oltre i limiti dello spazio, oltre le mura delle biblioteche e delle
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università. Le conversazioni su Internet sono uguali nei contenuti alle
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conversazioni nelle piazze e nelle università, cambia solo il mezzo: gli umani
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comprendono le voci o i testi scritti se questi sono onde sonore o luminose; i
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nodi della rete invece comprendono solo bit, sequenze numeriche; per questo le
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voci e i testi scambiati da computer vengono trasformati due volte, alla fonte
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e alla foce da onde a bit e di nuovo in onde.</P>
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<H2>Il software crea e governa la rete.</H2>
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<P>Il software è il governatore di tutte le conversazioni digitali:
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trasforma le onde in bit e di nuovo in onde. Non risponde ad alcuna legge,
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nè le leggi degli uomini nè le leggi della fisica. Il software è la diretta
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emanazione del programmatore, il deus ex machina della società digitale.</P>
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<P>Quindi il software abilita le conversazioni, ma solo il programmatore governa
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il software. Allora affinché sia garantita la libera conversazione tra persone
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è necessario che il programmatore non sia Uno, viceversa è necessario che il
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software creato dall'Uno sia sempre patrimonio di tutti, sia un bene pubblico.</P>
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<H2>Il software deve essere libero</H2>
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<P>Per essere <B>libero</B> il software deve circolare accompagnato da diritti,
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non da restrizioni. Deve essere garantito il <I>diritto di usare</I> il
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software senza limitazioni per garantire che nessuno possa discriminare l'accesso
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alle conversazioni digitali. Deve essere garantito il <I>diritto di studiare</I>
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il software, perché è il <B>libro di testo della scienza</B> informatica:
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garantire il diritto allo studio significa garantire un futuro alla scienza,
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significa creare la biblioteca pubblica dell'informatica. Deve essere garantito
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il <I>diritto di copiare</I> il software come le persone hanno sempre fatto
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fin dai tempi degli amanuensi, garantendo ai figli l'accesso alle conversazioni
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dei padri. Deve essere garantito il <I>diritto di modificare e ridistribuire</I>
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il software, perché il software è anche strumento utile e questo diritto ne
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garantisce l'evoluzione. Questi sono <B>quattro semplici diritti fondamentali</B>.</P>
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<H2>Il programmatore ha la responsabilità di garantire il futuro delle conversazioni</H2>
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<P>Il programmatore deve accettare il suo ruolo di deus ex machina della società digitale.
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È direttamente responsabile delle norme e delle regole che il software detta alla
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rete e quindi agli uomini, cittadini della società digitale. L'etica del
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programmatore gli impone di usare e distribuire solo software libero, ovvero
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accompagnato dai quattro diritti suddetti.</P>
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<H2>La libertà del software è una questione di diritto</H2>
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<P>La libertà del software non è solo una questione tecnologica, ma è soprattutto
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una questione di diritto. Il diritto, ad esempio il diritto d'autore, è lo
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strumento che può essere utile a garantire l'effettiva libertà del software,
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dando efficacia alle licenze che concedono i quattro diritti fondamentali. È
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una questione di diritti e libertà fondamentali dell'individuo nella società
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moderna: dal diritto all'informazione, a quello alla riservatezza, dalla libertà
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di parola a quella di associazione: più la società è digitale (e lo
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è già) più diventa importante il software per esercitare questi diritti.</P>
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<H2>La politica deve interessarsi alle conversazioni digitali</H2>
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<P> L'obiettivo primario della politica deve essere quello di comprendere
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l'importanza delle nostre conversazioni, che sono anche mercati, luoghi di
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scambio di valore. Deve capire che il mondo degli atomi è un mondo diverso dal
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mondo dei bit. I bit sono entità non rivali, non si consumano, non se ne può
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abusare, non deperiscono, non diminuiscono quando si distribuiscono, non sono
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né copie né originali: sono, e basta. Gli atomi invece sono rari, non si creano,
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ma soltanto si trasformano, si consumano se usati. E, se sono atomi comuni, a
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volte se ne abusa: la chiamano la <I>tragedia dei commons</I>. Invece <B>per
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i bit non c'è tragedia</B>.</P>
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<H2>La politica è responsabile di garantire i diritti e il diritto</H2>
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<P>La politica, in quanto fonte del diritto positivo, ha una responsabilità
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molto grande nell'assicurare che il diritto sia uno strumento di tutela delle
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libertà di tutti, e non di protezione degli interessi di pochi. Al contrario
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gli esempi dati dalla politica, anche i più recenti, dimostrano non solo che la
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politica non ha idea della differenza tra atomi e bit ma anche che gli
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interessi di pochi prevalgono sulle libertà di tutti. Le Direttive Europee
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European Union Copyright Directive (EUCD) e Intellectual Property Rights Enforcement
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Directive (IPRED), o anche le leggi nazionali di modifica alla legge sul diritto
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d'autore e il recente ignobile decreto Urbani sono frutto dell'ignoranza
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della politica. La politica non sta ascoltando le nostre conversazioni, sta
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ignorando i nostri mercati. Ma la politica sta anche ignorando il suo stesso
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mercato.</P>
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<H2>I politici hanno la responsabilità di consentire e garantire le conversazioni</H2>
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<P>Troppo spesso il legislatore viene catturato dal tecnocrate di turno, che
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lo costringe ad elevare al rango di norma giuridica alcuni meccanismi tecnologici
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di restrizione delle libertà degli utenti, introdotti a beneficio degli interessi
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di pochi produttori, spesso in regime di oligopolio. Le restrizioni tecnologiche
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introdotte nel mondo dei bit si trasformano in restrizioni di diritto valevoli
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nel mondo degli atomi, portando a conseguenze negative per la libertà degli
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individui e per la possibilità di innovazione tecnologica ed economica. La
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politica rischia di instaurare una tecnocrazia legalizzata.</P>
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<P><B>Chiediamo quindi che i politici e i cittadini si impegnino.</B></P>
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<UL>
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<LI><P>Rivendicando e restituendo alla funzione
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legislativa le prerogative che essa deve avere in una società
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democratica rendendola sensibile alle esigenze della maggior parte
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dei soggetti interessati. <B>BASTA</B> con i condizionamenti dei
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pochi tecnocrati e delle loro potenti lobby, che confondono i
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propri interessi con il bene comune.</P></LI>
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<LI><P> Riconsiderando il quadro normativo del diritto
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d'autore, dei brevetti, dei marchi e degli altri mezzi di tutela
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industriale, in modo da adeguarlo alla rapida evoluzione della
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moderna società digitale, stabilendo pochi e chiari principi
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che tutelino la libertà di fruizione delle opere
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dell'ingegno, la circolazione della conoscenza e quindi la
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possibilità di innovazione. <B>BASTA</B> con la produzione
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di norme sempre più draconiane, la cui applicazione è
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sempre più arbitraria.</P></LI>
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<LI><P>Prendendo atto dei cambiamenti irreversibili
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avvenuti nell'economia dei beni basati sulla conoscenza,
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impegnandosi ad usare gli avanzamenti della tecnologia per creare
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nuove possibilità di mercato e di innovazione, non per
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conservare gli assetti attuali attraverso limitazioni artificiose.</P></LI>
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<LI><P>Infine i politici smettano di ascoltare le
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sirene dorate di chi chiama pirati i propri clienti: ascoltino le
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nostre conversazioni, ascoltino i mercati fatti dalle persone
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tenendo sempre in mente che l'innovazione avviene sempre da un'altra
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parte: va inseguita.</P></LI>
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</UL>
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<P>Free Software Foundation Europe – sezione Italiana</P>
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<FONT SIZE="3">Redatto con i contributi di Stefano Maffulli, Giovanni Biscuolo, Cristian
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Rigamonti.</FONT>
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